sabato 28 agosto 2010

La Pacchia è finita?


Sono seduto in un ristorante del centro Italia. Il vociare degli operai intenti a consumare il proprio pranzo e il tintinnio delle posate che incocciano con i piatti, rilegano l’audio proveniente da un televisore a semplice sottofondo, appena udibile. Improvvisamente tutto si zittisce, la tv da semplice comprimario diventa protagonista. Irrompono le notizie del telegiornale. Il fatto del giorno sembra essere il taglio dei fondi alle Regioni previsto nella nuova finanziaria. Quando il cronista inizia ad elencare le reazioni e i commenti dei vari presidenti di Regione e si sofferma sulle dichiarazioni dei governatori del Lazio (Polverini) e della Calabria (Scopelliti) – i quali sostengono che quel tipo di provvedimento può mettere in ginocchio le rispettive Regioni, a causa dell'enorme voragine presente alla voce sanità – nel ristorante si alza un coro unanime: "Era ora che levassero i fondi a questa gente! Basta mangiare sulle nostre spalle! La Pacchia è finita!".

Da calabrese orgoglioso e fiero delle sue origini, la mia prima reazione è stata di indignazione. Ma più passavo il tempo ad ascoltare quegli operai in abiti da lavoro che sostenevano le proprie ragioni e più non potevo fare a meno di convenire con loro. Al caffé le loro tesi erano quasi inconfutabili.

Per l'Unione Europea la Calabria è una Regione a Obiettivo 1. Cioè un territorio bisognoso di promuovere lo sviluppo e l'adeguamento strutturale, per integrarsi completamente nello spazio comunitario. Usufruisce perciò di tre tipi di Fondi: F.E.S.R. (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), F.S.E (Fondo Sociale Europeo), F.E.A.O.G. (Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia). Se a questi aggiungiamo i contributi che fino ad oggi lo Stato versava alle Regioni, la Calabria diventa uno dei territori a cui vengono erogati più fondi. Ma che fine fanno? Come vengono utilizzati? Nessuno lo sa. Sappiamo, tuttavia, che abbiamo la maggior parte degli edifici pubblici (tra cui scuole, asili, ospedali) a dir poco fatiscenti; che le strade e le autostrade sono degne della Beirut anni ’80; che nessun nuovo posto di lavoro è stato creato e, di conseguenza, non c’è nessuna prospettiva per i giovani (sembra di essere regrediti di 50 anni, quando l'unico futuro era l'emigrazione); che la Sanità è un vero e proprio cancro che consuma soldi su soldi lasciando i servizi invariati.

Ciò nonostante negli ultimi tempi sembra essersi aperta una breccia nel muro del silenzio che circondava le sorti dei finanziamenti Europei. Il ministro dell'Economia Tremonti, durante un’infuocata conferenza stampa, ha svelato che solo 4 miliardi di euro dei 44 destinati al sud Italia sono stati impiegati (dimenticandosi di spiegare come), gli altri giacciono inutilizzati (anche in questo caso si è scordato di definire la parola “Inutilizzati”. Vorrà dire, sperando che questi soldi ancora esistano, che ci divertiremo ad immaginarli nel gigantesco deposito di zio Paperone). L'occhialuto Ministro non si è limitato a riportare i dati, ma ha anche puntato il dito contro le classi dirigenti locali, ritenendole, a suo dire, “responsabili di questa situazione” e definendole “Cialtroni”. Come non convenire con il Ministro? Quando a decidere le nostre sorti sono dei politicanti sempre più somiglianti a rockstars o a divi hollywoodiani (che girano in Suv, indossando Rolex d'oro e vestiti Armani)?

Alle ultime elezioni regionali ci hanno ripetuto sino alla nausea degli slogan di cambiamento e proposto dei tagli con il precedente modo di fare politica, per poi, una volta finita la tornata elettorale, seguitare a ripetere gli stessi errori. Fanno finta di preoccuparsi di doverci mettere le mani in tasca per ripianare i buchi della Regione (da loro creati), quando invece non si fanno alcuno scrupolo a sfilarci i soldi da sotto il naso (in forma di tasse) per pagarsi i loro immeritati e illegali stipendi faraonici. A conferma che nulla è cambiato basti leggere il Corriere della Sera del 10 luglio 2010, pagina 10. La giornalista Stefania Tamburello intervista il presidente Scopelliti. Dopo aver ascoltato una lista interminabile di tagli da dover operare per risanare la Regione (tra cui i costi della politica), la firma del corsera pone una domanda (incredibile da credersi ma esistono ancora giornalisti che possono fare domande). "Allora si ridurrà lo stipendio?" - risposta testuale - " Comprimeremo le spese di funzionamento della Regione, dalle consulenze ai beni strumentali e elimineremo le leggi di spesa non socialmente orientate."Eh? Alzi la mano chi non ha dovuto rileggere almeno tre volte la risposta per dargli un senso, che poi in termini pratici non voglia dire nulla è un altro paio di maniche. Ci si nasconde dietro il politichese per non dire di non essere disposti a rinunciare ai privilegi e quindi dimostrando ancora una volta, se ancora ce ne fosse bisogno, che per loro la politica è come speculare in borsa, un business, e i cittadini sono soltanto mezzi per raggiungere i loro avidi scopi.

La risposta che ci saremmo aspettati da un politico con seria volontà di cambiamento e che rimanesse minimamente coerente con la propria campagna elettorale, sarebbe stata: "Sì ci ridurremo lo stipendio. Reputiamo immorale guadagnare 11.316 euro al mese, quando nella nostra Regione ci sono giovani che ne guadagnano 800 e spesso in nero, mentre altri sono costretti ad emigrare per una vita più dignitosa. Finché durerà la crisi e i conti della Calabria non saranno a posto, percepiremo solo il 10% dello stipendio, seguendo l'esempio di Giovanni Favia, eletto in Emilia Romagna con il Movimento Cinque Stelle, che degli 11.053 euro riconosciuti ai consiglieri della sua Regione, ne tratterrà 1.300 e restituirà il resto ai cittadini. Per quei miei colleghi che già percepiscono introiti indipendenti dalla politica, il compenso previsto come consigliere regionale sarà sospeso. Così facendo riusciremo a risparmiare 10.000 euro circa per consigliere regionale: moltiplicandoli per 50, ossia il numero degli eletti alla Regione, avremo infine un budget di circa 500.000 euro al mese da donare, volta per volta, ad un ospedale o ad una scuola."

Temo, tuttavia, che questa rimanga una folle disamina di chi crede ancora di vivere in un paese di nome Utòpia.


Francesco Denaro

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