martedì 31 gennaio 2012

"Scusate, non ce la faccio più"


"Scusate, non ce la faccio più" è questa l'ultima frase che scrive un imprenditore veneto prima di puntarsi una pistola alla tempia e premere il grilletto. Aveva, invece, solamente quarantatré anni la titolare di un attività di ristorazione, la quale, dopo aver accompagnato la figlia più piccola a scuola, riservandole un ultimo abbraccio, ha preferito esalare l’ultimo respiro gettandosi sotto un treno. Questi sono solo due casi di una silenziosa strage che si sta consumando nel nostro Paese: è sempre crescente, infatti, (circa 25 solo lo scorso anno) il numero degli imprenditori che, strozzati dai debiti, si tolgono la vita. Nel 2011 si sono registrati 8.566 fallimenti, un aumento del 35,5% rispetto al 2009 e, nella maggior parte dei casi, le aziende in questione sono state costrette a chiudere a causa di debiti da usura. Tale fenomeno è, ad oggi, sicuramente alimentato dalla crisi economica che aleggia nell’aere ma, a fare la sua parte, vi è anche e soprattutto un ottuso sistema bancario prepotentemente mantenuto in vigore. Infatti, se in questo periodo ci si reca in un istituto di credito, in veste di cittadini privati o in veste di titolari d'imprese, con l’intento di chiedere un piccolo finanziamento, un prestito temporaneo o un fido, si ha la certezza quasi matematica di ricevere sempre la stessa risposta: "Ci dispiace ma non è possibile". A dimostrazione dell’esistenza di questa “regola” si pongono, di fatto, alcune eccezioni: quei rari casi in cui la concessione avviene a patto che il debito contratto si ripaghi a tassi d'interesse esorbitanti.
Le banche, dunque, non erogano più credito (nonostante abbiano ricevuto dalla BCE un prestito da 50 miliardi di Euro al tasso dell'1% per tre anni finalizzato proprio a rilanciare l'economia tramite i prestiti alle Imprese) e preferiscono conservare il denaro in modo da poterlo investire al momento giusto in titoli di Stato (che rendono il 6%) o per poterlo usare come salvagente nel momento in cui si ritrovano ridotte in braghe di tela.

Dunque un imprenditore, un piccolo pedone che si muove costretto in questa drammatica scacchiera, ha la facoltà di scegliere fra due allettanti opzioni: lasciare che a "strozzarlo" sia lo Stato (tramite Equitalia) o, meglio ancora, il racket (che dispone di tutta la liquidità possibile per soddisfare la domanda). Spesso si sceglie la seconda strada, che apparentemente dà più tempo o quanto meno non effettua l’immediato pignoramento dell’abitazione. Se ci si impegna ad osservare da questa dolorosa prospettiva, è forse un po’ più facile comprendere quelle persone che, vedendo le proprie aziende espropriate o fallite e dovendo licenziare operai padri di famiglia, sentono profondamente lesa la propria dignità e trovano nella morte l'unica soluzione.

Per l'ennesima volta, siamo riusciti a creare un sistema anomalo senza precedenti nel resto del mondo: si fa di tutto per salvare le banche (principale causa della crisi) consegnando nelle mani della criminalità organizzata le imprese (che dovrebbero esserne la soluzione). Non si riesce proprio a capire che la bancocrazia non funziona eppure, se invece che alle banche (mandanti morali di queste morti) la BCE avesse concesso il prestito all'1% di interesse allo Stato Italiano, molte attività si sarebbero rimesse in moto e, forse, qualche bambino godrebbe ancora dell’affetto dei propri genitori.

Francesco Denaro

martedì 17 gennaio 2012

IN SERIE B


E fu così che l’Italia venne declassata! In un uggioso sabato mattina, la popolazione italiana si svegliò e si ritrovò in serie B;tuttavia la retrocessione, stavolta, non era riferita a qualche disciplina sportiva ma alla nostra cara economia.
“L’autorevole” agenzia Standard & Poor’s, ci ha condannati al purgatorio non ritenendoci in grado di risanare il nostro debito.
In questo contesto, il cambio di governo, le mal digeste manovre di austerità e la macelleria sociale, impostaci sotto lo spauracchio del default, sono servite a poco o a nulla: siamo ancora ritenuti poco credibili.

In realtà siamo davvero così incapaci a risollevare le nostre finanze?

Basandosi su un’analisi dell’operato dei politici che ci hanno governati negli ultimi vent’anni, che si sono occupati di tutto (partendo dagli interessi personali, passando per p3, p4, trans, sino ad arrivare alle nipoti di Mubarak) tranne che dei propri cittadini, verrebbe la tentazione di avallare le teorie della "famosa" agenzia di rating, se non fosse per un piccolissimo, quasi insignificante, particolare. L’economia americana, dopo la crisi del 2008, non si è più ripresa anzi ha continuato a scivolare verso il baratro e, secondo qualche ben informato, il fondo sarebbe molto più vicino di quanto si voglia far credere. Negli anni scorsi ad ogni accenno di inclinatura delle finanze statunitensi, logicamente seguiva un intervento bellico che vedeva lo Stato in questione protagonista e provvedeva così a rimettere in moto la sua industria più produttiva: quella delle armi. Oggi, con un presidente che del motto “basta guerre, riportiamo a casa i nostri ragazzi” ha fatto la colonna portante della propria campagna elettorale, è più difficile intraprendere azioni militari che non siano ben giustificate. È così che, da molto tempo, assistiamo a continue schermaglie con l’Iran e la sensazione che si ha è quella di osservare qualcosa di già visto: tutto ciò ricorda molto quello che avvenne prima dei due conflitti del Golfo, manca solo la balla da raccontare al mondo per giustificare un eventuale intervento, manca, insomma, una pseudo infermiera (poi rivelabile nipote dell’ambasciatore saudita negli Stati Uniti) che racconti di aver visto iracheni uccidere neonati dentro le incubatrici di un ospedale del Kuwait o un segretario di Stato che racconti all’ONU le potenzialità devastanti delle armi di distruzione di massa possedute da Saddam Hussein, ad oggi mai ritrovate.
Per inventare storie credibili, però, ci vuole tempo, l’unica cosa che gli Stati Uniti non hanno: il sistema finanziario da essi creato gli si sta ritorcendo contro, riducendoli all’osso. Vediamo quindi gli avvoltoi (speculatori finanziari) aleggiare su un moribondo (gli USA) aspettandone il decesso e magari planando ogni tanto su di esso, beccandolo un po’ per velocizzarne il trapasso.
A questo punto servirebbe un’idea utile per produrre il tempo necessario allo Stato morente per fabbricare una pistola fumante. Perché, dunque, non far credere agli avvoltoi che esista un altro moribondo (l’Europa), più grasso e più appetibile, poco più avanti? Visto che gli unici organi predisposti a constatarne il grado di salute (le agenzie di rating) sono sotto il controllo e di proprietà degli Usa, tale non era un’impresa poi così ardua ed ecco il caso Grecia. Inizialmente essa viene aiutata da una banca americana a falsificare i bilanci per entrare nell’Unione Europea, poi, quando ci si accorge che la nazione è senza un soldo, cominciano i continui tagli di rating che la costringono a politiche di austerità sempre più aggressive finalizzate al pagamento del proprio debito: ecco creato il virus che ha contagiato mezza Europa, è lei il nuovo moribondo da dare in pasto agli avvoltoi.

Ad oggi lascia sgomenti la reazione dei politici europei che, invece di far pressione affinché vengano chiuse queste agenzie, continuano a fare dichiarazioni pubbliche per compiacerle. Come si fa a dare ancora credito a delle agenzie di rating che fino al giorno prima del fallimento della Parmalat e della Lehman Brother assegnavano loro la tripla A, che paragonavano prodotti devirati con all’interno mutui sub prime ai titoli di Stato, definendoli egualmente a basso rischio, che teoricamente sono agenzie private ma praticamente sono foraggiate dalle banche d’investimento americane e che, se chiamate a giudizio sul proprio operato, se la cavano sempre definendo la loro “solo un’opinione”?

Senza rendercene conto abbiamo affidato il futuro nostro, dei nostri figli, delle nostre aziende e dei nostri risparmi nelle mani di poco chiari sistemi finanziari che hanno come unico obbiettivo quello di fare profitti a tutti i costi. Finché non faremo capire a chi ci governa, sia a livello nazionale che europeo, che il sistema economico attuale, essendo fallito, va cambiato e che è necessario che queste agenzie di rating chiudano o diventino meno influenti sul mondo economico, non saremo più artefici del nostro destino.

Il contenuto di questo articolo è frutto di personali congetture ma, se è vero come è vero, che più indizi fanno una prova e che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, forse…

Francesco Denaro